Nella Repubblica Democratica del Congo di casi di violenza di genere se ne contano tantissimi. Il nostro staff accompagna le sopravvissute nel percorso di rinascita

 

 

Fidèle (nome di fantasia) ha 21 anni ed è una di quei milioni di sfollati che vivono nella Repubblica Democratica del Congo. A causa dell’insicurezza dilagante, decide di trasferirsi da Mamove, piccola località, a Beni, una città nella provincia del Nord Kivu, con il suo bimbo di due anni e un altro, che ancora porta in grembo. Fidèle è stata abusata per quasi un anno dall’uomo con cui viveva da ormai tre. Violenza psicologica, stupro, aggressione, percosse. “A volte preferirei morire che vivere” ha detto più volte. La condizione che ha vissuto l’ha portata a sviluppare tendenze suicide, ansia e rabbia. “Mi sentivo sola, inutile e incapace di mantenermi”, ci ha raccontato.

 

Le conseguenze inflitte da uno stupro, dalla violenza domestica o da un matrimonio forzato, vanno ben oltre il momento dell’aggressione. Nella maggior parte dei casi, sui corpi delle sopravvissute restano cicatrici fisiche, ma anche psicologiche per il resto della vita.

 

Nella Repubblica Democratica del Congo se ne contano tantissimi di casi di violenza di genere, in particolare di violenza sessuale. Secondo quanto riportato dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA) i casi segnalati di violenza di genere sono aumentati dell’86% tra gennaio e settembre del 2020. Sebbene questi episodi di violenza sessuale siano stati commessi per lo più da civili e in contesti privati, sono stati sicuramente influenzati da pratiche sociali e culturali tradizionali dannose sempre più diffuse, dalla persistente insicurezza nel Paese, dalla vulnerabilità che connota le persone sfollate costrette agli spostamenti, dall’inadeguata assistenza umanitaria. Nel Paese, le donne e le ragazze sfollate o rimpatriate sono le più colpite da questo tipo di violazioni, soprattutto nelle province dell’Est.

 

La crisi umanitaria nel Paese

 

Da più di 20 anni, la Repubblica Democratica del Congo è attraversata da una crisi umanitaria considerata ormai cronica. Ai continui conflitti armati che hanno causato lo sfollamento interno di più di cinque milioni di persone, si aggiungono tutte le problematiche di un Paese caratterizzato da una forte instabilità politica ed economica. Nel 2020, la situazione ha subito un peggioramento, registrato anche negli episodi di violenza, a causa dell’aggravarsi dell’insicurezza alimentare e delle epidemie di colera, ebola, morbillo e malaria, alle quali si è aggiunto anche il Covid-19. In questo contesto, in cui i bisogni umanitari sono in aumento, si intensificano anche le restrizioni all’accesso umanitario in particolare nelle province più colpite di Ituri, Nord Kivu e Sud Kivu.

 

INTERSOS è nel Paese dal 2009, svolge un ruolo cruciale per restituire dignità alle donne sopravvissute a violenza di genere, attraverso servizi legali e psicologici e attività di monitoraggio degli episodi di violenza. L’intervento di operatrici e operatori legali di INTERSOS ha permesso a Fidèle e a tante come lei di partecipare per un anno a diverse sessioni di sostegno psicosociale e accompagnamento, ricostruendo le condizioni per poter migliorare il proprio equilibrio.

 

Dopo il sostegno psicologico che ho ricevuto mi sento di nuovo viva, in grado di lavorare e guadagnarmi da vivere” ha detto Fidèle al nostro staff. Sono scomparsi i problemi di insonnia e irritabilità ed è riuscita a riacquistare fiducia in sé stessa, iniziando anche un’attività di auto sostentamento. “Sento un senso di conforto e ho trovato la forza di rialzarmi”.

 

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