In Africa può sembrare che si stia vivendo un momento di stallo, ma c’è tantissimo da fare, da capire. Negli ultimi anni non abbiamo registrato nuove emergenze di vaste proporzioni, ma il protrarsi e l’estendersi di crisi sempre più complesse. Dobbiamo comprendere come offrire risposte adeguate”.

Parlando di Africa con Marco Ciapparelli, senti ad ogni parola la passione per il lavoro che sta facendo. Dopo un’esperienza a Roma come Direttore di INTERSOS per l’Africa Occidentale, Marco è tornato quest’anno a Nairobi, la capitale del Kenya, come coordinatore delle nostre missioni in Africa Centrale e Orientale. “Sono contento. Essere qui significa vivere immerso nelle dinamiche di coordinamento e di analisi umanitaria 24 ore al giorno”.

Marco è rientrato in Africa per far crescere la presenza di INTERSOS in un hub decisivo per le ONG e per ad occuparsi di tre paesi in cui la nostra Ong è presente. Stiamo parlando della Somalia, la prima missione di INTERSOS, il paese dove siamo arrivati 26 anni fa e che non abbiamo più lasciato, del Sud Sudan, uno dei principali interventi dell’organizzazione a partire dalla crisi del 2013, e del Congo.

“Seguo la Repubblica Democratica del Congo da almeno 10 anni, mi ero occupato di Somalia quando lavoravo nell’ufficio umanitario di un’altra organizzazione. Il Sud Sudan, invece, è un paese nuovo. Si tratta, almeno nei primi due casi, di esempi perfettamente calzanti di crisi protratte, al centro dell’intervento umanitario da almeno 30 anni, mentre il Sud Sudan è un paese che, dopo lo shock del 2013 vive una perdurante instabilità. L’idea è che resteremo qui a lungo e una delle sfide è immaginare quale debba essere il collegamento tra risposta umanitaria, prioritaria, e programmi di medio e lungo periodo”

Crisi protratte: un espressione che rischia di trasmettere un senso di impotenza, l’idea che con il passare degli anni tutto resti immutato. È cosi?

Non proprio. Intanto perché, certo, salvare vite umane è una sfida che si rinnova ogni giorno. E poi perché le crisi si protraggono, è vero, ma mutano. Prendiamo un paese come la Somalia: la sua storia recente è costituita da diverse fasi, ciascuna delle quali ha determinato diverse tipologie di bisogni. Oggi sono tre gli elementi che concorrono a produrre un’emergenza umanitaria. Il primo è la debolezza infrastrutturale e l’assenza di servizi di base che determinano condizioni di vita insufficienti. Il secondo è lo strascico della lunga carestia che il paese ha vissuto nel 2017 e che ancora lascia problemi: le famiglie hanno perso fonti di guadagno, ad esempio perché costrette a vendere gli animali, e faticano a tornare alla situazione precedente. Il terzo elemento è il conflitto armato che ancora interessa buona parte del paese. In quelle che vengono chiamate ‘aree disputate’ ci sono villaggi che passano ripetutamente sotto il controllo delle forze governative o dei gruppi armati. Il risultato: azzeramento dei servizi pubblici, spostamento della popolazione, nuovi bisogni umanitari ai quali rispondere.

Parli giustamente di conflitti, che interessano tutti e tre i paesi di cui stiamo parlando. Quanto pesa l’insicurezza sulla qualità e l’estensione dell’aiuto umanitario?

Si tratta di paesi complessi. In tutti sono presenti diversi gruppi armati. In Congo ce ne sono decine. La nostra forza è conoscere bene il terreno, dove lavoriamo da anni, aver guadagnato fiducia e l’accettazione delle comunità, poter contare su uno staff preparato. Questo ci consente di essere in prima linea, prestando sempre la massima attenzione a monitorare la soglia di sicurezza delle aree in cui ci muoviamo. Ci sono zone di non accesso umanitario che variano di mese in mese. Ma il nostro sforzo, attraverso una mappatura continua, è arrivare sempre più lontano, per non lasciare sole le persone in stato di bisogno.

Fare meglio, ogni anno. Quali sono le sfide di INTERSOS per il 2019?

Il cuore della nostra missione è servire un numero maggiore di persone in stato di bisogno attraverso un approccio integrato, in particolare tra protezione ed educazione, cui si aggiunge (o, nel caso della Somalia, si deve consolidare) un’attività di salute primaria. Un ulteriore aspetto su cui vogliamo intervenire è la cura della malnutrizione acuta severa e la prevenzione delle sue cause, riducendo l’insicurezza alimentare.

Chiudiamo con una domanda personale. Ti occupi di Africa ormai da moltissimi anni e ora torni a viverci. Cosa significa questo per te?

L’Africa è stata la mia passione da sempre: non sento assolutamente la fatica di lavorare in e per questo continente, pur con la sua unicità e le tutte le sue difficoltà in termini di mancanza di infrastrutture e tecnologie. I rapporti umani e professionali e la relazione con lo staff locale sono fra gli aspetti più belli, perché animati da senso di appartenenza e vera passione umanitaria.