Alla cortese attenzione
Presidente della Repubblica
Presidente del Consiglio dei Ministri Vice Presidenti del Consiglio dei Ministri
Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Ministro dell’Interno
Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale
Ministro della Difesa
Comandante Generale del Corpo delle Capitanerie di porto
P.c. Rappresentante Regionale per il Sud Europa di UNHCR
Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa
Capo della Rappresentanza in Italia della Commissione europea
Oggetto: Chiusura dei porti italiani alle navi che trasportano persone soccorse in mare e minacce di respingimenti in Libia
Le organizzazioni scriventi esprimono la più viva preoccupazione per i numerosi casi in cui, nell’ultimo mese, le autorità italiane hanno impedito o seriamente ritardato lo sbarco di persone (inclusi minori, donne incinte e persone con problemi di salute) soccorse nell’ambito di operazioni di salvataggio in mare delle quali il Comando generale del Corpo delle Capitanerie di Porto italiano (MRCC di Roma) ha assunto il coordinamento, conformemente agli obblighi internazionali, essendo stata la prima autorità a ricevere la segnalazione di pericolo.
Riteniamo che tali misure, adottate nei confronti sia di imbarcazioni private (di ONG o mercantili) che di navi dello Stato italiano o di Frontex, abbiano implicato gravi violazioni della Costituzione e delle norme internazionali, europee e nazionali vigenti.
In primo luogo, si evidenzia come finora non siano stati resi pubblici i provvedimenti formali con cui è stata disposta la “chiusura dei porti”, né è noto se siano stati adottati provvedimenti formali, facendo sorgere seri dubbi sulla legittimità di misure eventualmente adottate in attuazione di mere dichiarazioni effettuate dai Ministri attraverso i social media o a mezzo stampa.
Riteniamo inoltre che siano stati violate alcune norme del diritto internazionale del mare e della disciplina dell’Unione europea in materia. Come è noto, pur non prevedendo in generale l’obbligo per l’Italia di far approdare nei propri porti le navi battenti bandiera di un altro Stato che hanno effettuato salvataggi in mare, la normativa vigente stabilisce che:
a) In tutti i casi in cui l’operazione di salvataggio sia coordinata dal Comando generale del Corpo delle Capitanerie di Porto in qualità di Centro Nazionale di Coordinamento del Soccorso Marittimo (MRCC), le autorità italiane hanno l’obbligo di adottare tutte le misure necessarie affinché le persone soccorse possano sbarcare nel più breve tempo possibile in un luogo sicuro (Convenzione SAR, par. 3.1.9 come modificato nel 2004), ovvero una località dove la sicurezza e la vita dei sopravvissuti non sia più minacciata, i bisogni primari (come cibo, alloggio e cure mediche) possano essere soddisfatti, e possa essere organizzato il trasporto dei sopravvissuti verso una destinazione successiva o finale (Linee Guida IMO sulle persone soccorse in mare, par. 6.12).
b) In alcuni casi specifici, le autorità italiane hanno l’obbligo di consentire lo sbarco nei propri porti di una nave battente bandiera di un altro Stato, in particolare:
– i casi in cui l’unità navale che ha effettuato il salvataggio o sulla quale sono state trasbordate le persone soccorse operi nell’ambito di operazioni congiunte coordinate da Frontex, come l’operazione Themis, per le quali l’Italia sia Stato membro ospitante, qualora questa opzione sia la più ragionevole tenuto conto dell’incolumità delle persone soccorse (Regolamento (UE) n. 656/2014, art. 10, c. 1) oppure operi nell’ambito dell’operazione EUNAVFOR MED Sophia, il cui comando operativo ha sede a Roma;
– i casi di forza maggiore o “distress”, ovvero qualora le persone a bordo siano minacciate da un grave ed imminente pericolo ed abbiano bisogno di soccorso immediato: in questi casi l’ingresso in porto anche senza autorizzazione non costituisce illecito internazionale per lo Stato di bandiera della nave (norma di diritto internazionale consuetudinario codificata all’art. 25 del Progetto di articoli sulla responsabilità degli Stati del 2001), e non può comportare responsabilità penale del capitano in quanto esclusa per stato di necessità (art. 54 c.p.).
c) Le navi battenti bandiera di un altro Stato hanno comunque il diritto di “passaggio inoffensivo” nelle acque territoriali italiane, ovvero il diritto di entrare e transitare in tali acque senza costituire pregiudizio alla pace, al buon ordine e alla sicurezza dello Stato (Convenzione UNCLOS, art. 17); a tale proposito, a livello interno, l’art. 83 del Codice della Navigazione stabilisce che “il Ministro dei trasporti e della navigazione può limitare o vietare il transito e la sosta di navi mercantili nel mareterritoriale, per motivi di ordine pubblico, di sicurezza della navigazione e, di concerto con il Ministro dell’ambiente, per motivi di protezione dell’ambiente marino, determinando le zone alle quali il divieto si estende”.
Oltre al diritto del mare, vengono in rilievo le norme sui diritti umani e sulla protezione dei rifugiati in particolare:
a) Il rifiuto di accesso ai porti di imbarcazioni che abbiano effettuato il soccorso in mare può comportare la violazione degli articoli 2 (diritto alla vita) e 3 (divieto di trattamenti inumani e degradanti) della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), qualora le persone soccorse abbiano bisogno di cure mediche urgenti, nonché di generi di prima necessità (acqua, cibo, medicinali), e tali bisogni non possano essere soddisfatti per effetto del concreto modo di operare del rifiuto stesso, ovvero quando la permanenza prolungata sulla nave, in condizioni di sovraffollamento e promiscuità, potrebbe costituire un trattamento inumano e degradante. Ciò, a maggior ragione, quando il divieto di sbarco colpisca soggetti particolarmente vulnerabili come minori, donne incinte o persone traumatizzate in seguito alle violenze subite o per aver assistito alla morte di persone care durante il naufragio. Nel caso di minori, inoltre, risulta violato il principio sancito dall’art. 3 della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza secondo cui, in tutte le decisioni riguardanti i minori, deve essere preso in considerazione con carattere di priorità il superiore interesse del minore.
b) Il divieto di accesso ai porti italiani, con la conseguente impossibilità di valutare le singole situazioni delle persone interessate, può inoltre comportare la violazione del divieto di espulsioni collettive previsto dall’art. 4 del Protocollo n. 4 alla CEDU, nonché del principio di non refoulement e del diritto di accedere alla procedura d’asilo sanciti dalla Convenzione di Ginevra, dal diritto comunitario e dalla normativa italiana.
c) Vietare l’ingresso nei porti italiani a potenziali richiedenti asilo, ai sensi dell’art. 10, co. 3 della Costituzione, viola detta norma costituzionale, che non è territorialmente limitata, potendo il diritto d’asilo costituzionale essere riconosciuto anche a chi si trovi fuori dai confini dello Stato (Trib. Roma 1.10.1999 causa Ocalan). La giurisprudenza riconosce pacificamente il diritto di ingresso in Italia a coloro che intendano chiedere il riconoscimento del diritto d’asilo (Cass. SU 4674/97; SU 907/99; Cass. 18549/2006, n. 26253/2009) e pertanto è illegittima ogni prassi che lo impedisca.
Nelle ultime settimane, le norme sopra citate sono state a nostro avviso violate in diversi casi, tra i quali:
a) Il divieto di ingresso nelle acque territoriali disposto nei confronti delle navi Astral e Open Arms
Il 29 giugno 2018 il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti ha dichiarato in un comunicato che “In ragione della nota formale che mi giunge dal Ministero dell’Interno e che adduce motivi di ordine pubblico, dispongo il divietodi attracco nei porti italiani per la nave Ong Astral, in piena ottemperanza dell’articolo 83 del Codice della Navigazione” (1). Analoga dichiarazione è stata fatta dal Ministro sen. Danilo Toninelli con riferimento alla nave Open Arms (2).
Il 30 giugno, in un’intervista al Corriere della Sera, il Ministro dell’Interno, sen. Matteo Salvini, affermava: “abbiamo chiuso per gli attracchi di queste navi [delle Ong] anche quando non portano migranti. Le navi straniere finanziate in maniera occulta da potenze straniere in Italia non toccheranno più terra” (3).
Salvo che vi fossero altre specifiche situazioni di cui l’opinione pubblica non è stata informata, la decisione di vietare l’ingresso nelle acque territoriali delle navi Astral e Open Arms per motivi di ordine pubblico, in considerazione dei presunti finanziamenti occulti ricevuti dalle Ong, risulta di assai dubbia legittimità.
b) Il divieto di sbarco dei naufraghi trattenuti sulla nave Diciotti
Tra il mattino dell’11 luglio e il pomeriggio del 12 luglio, la nave della Guardia costiera italiana Diciotti, sulla quale erano state trasferite 67 persone salvate da una nave mercantile, è restata a largo di Trapani in attesa dell’autorizzazione all’ingresso in porto.
Successivamente all’attracco, le persone soccorse – tra cui vi erano anche due minori stranieri non accompagnati, quattro minori accompagnati dai genitori e due donne con problemi di salute piuttosto gravi – sono state trattenute a bordo della Diciotti fino alla tarda serata del 12 luglio, senza poter scendere a terra.
Si è appreso dai media come il divieto di sbarco sarebbe stato ordinato dal Ministro dell’Interno che, come riportato dal quotidiano il Giornale del 11 luglio 2018, avrebbe dichiarato: “non darò autorizzazione a nessun tipo di sbarco finché non ci sarà garanzia per la sicurezza degli italiani che delinquenti, che non sono profughi, che hanno dirottato una nave con la violenza, finiscano per qualche tempo in galera e poi vengano portati il prima possibile al loro Paese. […] Prima di concedere qualsiasi autorizzazione attendo di sapere nomi, cognomi e nazionalità dei violenti dirottatori, che dovranno scendere dalla nave Diciotti in manette”.
La decisione di trattenere i 67 naufraghi a bordo della Diciotti sulla base di tali motivazioni, privandoli della libertà personale in assenza di un provvedimento dell’autorità giudiziaria competente, risulta a nostro avviso illegittima e gravemente lesiva dei diritti delle persone soccorse.
Le dichiarazioni del Ministro dell’Interno costituiscono inoltre una grave interferenza nell’operato della magistratura e, come affermato dall’Associazione Nazionale Magistrati, si pongono “non in linea con i principi di autonomia e indipendenza fissati dalla Costituzione, cui tutti devono attenersi” (4).
c) Il grave ritardo nell’indicazione del porto di sbarco alle navi Monte Sperone e Protector
Tra il 14 e il 15 luglio, il pattugliatore Monte Sperone della Guardia di finanza e la nave Protector operativa nell’ambito di Frontex, su cui erano state trasbordate circa 450 persone salvate nell’ambito di un’operazione SAR coordinata dall’MRCC italiano, restavano due giorni in acque territoriali italiane, senzache venisse loro indicato il porto sicuro dove sbarcare.
Tra le persone soccorse risultavano esservi numerosi minori non accompagnati e diverse persone con problemi gravi di salute.
Da fonti giornalistiche, si è appreso che il Ministro dell’Interno avrebbe insistito con il Presidente del Consiglio sull’opportunità che alle due navi venisse data indicazione di fare rotta verso Malta o la Libia (5).
Successivamente, il Presidente Conte dichiarava di lavorare “per un accordo con gli altri paesi Ue per una
redistribuzione immediata dei 450”, specificando che “se non ci sono risposte dai partner e in queste condizioni ai 450 non sarà consentito di sbarcare” (6).
Diverse persone sono state colte da malore a causa delle altissime temperature cui sono state sottoposte mentre attendevano a bordo della nave.
Dopo l’evacuazione di alcuni minori, donne e persone con problemi di salute, solo nella tarda serata del 15 luglio veniva effettuato lo sbarco di tutti i naufraghi, inclusi 128 minori non accompagnati e tre minori accompagnati dai genitori.
In tale vicenda non sembrano essere state rispettate le norme che prevedono l’obbligo di adottare tutte le misure necessarie affinché le persone soccorse possano sbarcare nel più breve tempo possibile in un luogo sicuro (Convenzione SAR, par. 3.1.9) nonché di consentire lo sbarco in Italia di unità navale operanti nell’ambito di operazioni congiunte coordinate da Frontex, per le quali l’Italia sia Stato membro ospitante (Regolamento (UE) n. 656/2014, art. 10, c. 1).
Riteniamo inoltre che le autorità italiane si siano rese responsabili di gravi violazioni dei diritti delle persone costrette a restare a bordo in condizioni che, in particolare nel caso dei soggetti più vulnerabili, potrebbero costituire trattamenti inumani e degradanti vietati dall’art. 3 della CEDU, e che risultano senz’altro contrarie al superiore interesse del minore.
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Le misure di cui sopra hanno l’effetto di ostacolare l’operato delle Ong e di tutti i soggetti impegnati nelle operazioni SAR. Di conseguenza, la capacità di salvataggio in mare si è drasticamente ridotta, determinando un aumento del numero di morti: UNHCR stima che nel 2018 più di 1.400 persone siano morte nel tentativo di attraversare il Mediterraneo.
L’Italia, negli ultimi anni riconosciuta a livello internazionale come un modello positivo rispetto alla conduzione delle operazioni di salvataggio in mare, in particolare durante il periodo dell’operazione Mare Nostrum, rischia fortemente di assumere l’immagine, agli occhi dell’opinione pubblica mondiale, di un Paese che ostacola i soccorsi.
Nei casi sopra citati, così come in diversi altri casi (Aquarius, Lifeline ecc.), la decisione di impedire o ritardare lo sbarco dei naufraghi in Italia è stata motivata anche con la finalità di convincere gli altri Stati europei ad accogliere sul proprio territorio una parte delle persone soccorse.
Condividiamo pienamente l’obiettivo di superare il criterio del “primo paese di ingresso” previsto dal Regolamento Dublino III, che impone un iniquo e irragionevole sovraccarico su Paesi quali l’Italia e la Grecia, e di giungere a un’equa distribuzione dei richiedenti asilo tra tutti gli Stati dell’Unione europea.
Tale obiettivo, tuttavia, non può essere perseguito impedendo o ritardando lo sbarco dei naufraghi in un porto italiano in attesa che qualche altro Stato europeo, in seguito a negoziazioni diplomatiche effettuate volta per volta, offra la disponibilità ad accoglierne un numero sufficiente. Una soluzione di questo genere non è percorribile, sia perché comporta la violazione delle norme internazionali, comunitarie e nazionali sopra citate, sia perché si tratta di un meccanismo altamente inefficiente ed aleatorio, essendo tale redistribuzione lasciata di volta in volta alla buona volontà degli altri Stati europei.
È invece necessario introdurre un meccanismo di distribuzione permanente e obbligatorio dei richiedenti asilo tra tutti gli Stati dell’Unione europea, così come previsto dalla riforma del Regolamento Dublino approvata dal Parlamento europeo, finora incomprensibilmente osteggiata dall’attuale Governo italiano.
Solo se verrà adottato un meccanismo obbligatorio, l’Italia potrà chiedere alle istituzioni europee di intervenire per imporre a tutti gli Stati di accettare le quote di richiedenti asilo previste, così come accaduto con le procedure di infrazione avviate nel 2017 dalla Commissione europea nei confronti di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca per i mancati ricollocamenti dei richiedenti asilo da Italia e Grecia, che potranno concludersi con una sentenza della Corte di Giustizia europea e sanzioni pecuniarie in caso di mancato adempimento.
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Esprimiamo infine sconcerto e grave preoccupazione in merito alle ripetute dichiarazioni del Ministro dell’Interno circa la volontà di respingere in Libia le persone soccorse in mare.
Come attestato dalle Nazioni Unite e da numerose altre organizzazioni internazionali (7), i cittadini di Paesi terzi ricondotti in Libia, inclusi i minori, sono oggetto di detenzione arbitraria nelle carceri, in condizioni disumane (sovraffollamento, mancanza di cibo, acqua, cure mediche ecc.) e sottoposti a torture, stupri e violenze sistematiche (8). Esponenti della stessa Guardia Costiera libica risultano coinvolti in gravi violazioni dei diritti umani (9). La Libia, inoltre, non ha neanche firmato la Convenzione di Ginevra del 1951 né l’ordinamento interno prevede norme per la protezione dei rifugiati.
Il territorio libico non può ritenersi in alcun modo “luogo sicuro” ai sensi della Convenzione SAR, come affermato anche dalla portavoce della Commissione europea e dall’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza in risposta alle dichiarazioni del Ministro sen. Matteo Salvini e come riconosciuto dalla stessa magistratura italiana (10).
L’eventuale respingimento in Libia delle persone soccorse in mare costituirebbe dunque una gravissima violazione della normativa internazionale, europea e interna, con riferimento sia al diritto del mare, che impone l’obbligo di condurre le persone soccorse in un “luogo sicuro”, sia alle norme in materia di diritti umani e protezione dei richiedenti asilo (principio di non refoulement, protezione dai trattamenti inumani e degradanti, divieto di respingimenti collettivi ecc.).
Oltre alle norme già citate, si ricorda l’art. 4 del Regolamento (UE) n. 656/2014, che stabilisce che “nessuno può, in violazione del principio di non respingimento, essere sbarcato, costretto a entrare, condotto o altrimenti consegnato alle autorità di un paese in cui esista, tra l’altro, un rischio grave di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura, alla persecuzione o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti, o in cui la vita o la libertà dell’interessato sarebbero minacciate a causa della razza, della religione, della cittadinanza, dell’orientamento sessuale, dell’appartenenza a un particolare gruppo sociale o delle opinioni politiche dell’interessato stesso, o nel quale sussista un reale rischio di espulsione, rimpatrio o estradizione verso un altro paese in violazione del principio di non respingimento”, specificando inoltre che a ciascuna delle persone soccorse deve essere garantita “l’opportunità di esprimere le eventuali ragioni per cui ritengono che uno sbarco nel luogo proposto violerebbe il principio di non respingimento”.
Come è noto, nel 2012 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia per il respingimento collettivo di circa 200 persone verso la Libia (Hirsi e altri c. Italia). La Corte ha ritenuto che le autorità italiane avessero violato l’art. 3 CEDU, in quanto i ricorrenti erano stati respinti in Libia malgrado fosse noto che in tale Paese essi sarebbero stati esposti al concreto rischio di subire trattamenti contrari alla Convenzione, in violazione dunque del principio di non-refoulement. L’Italia è stata inoltre condannata per violazione dell’art. 4 del protocollo n. 4, in quanto i ricorrenti erano stati trasferiti in Libia senza alcuna valutazione delle peculiarità di ogni singolo caso.
Si evidenzia infine come le norme internazionali, comunitarie e nazionali in base alle quali il respingimento verso la Libia sarebbe illegittimo trovino applicazione non solo ai respingimenti direttamente effettuati dalle autorità italiane, ma anche ai respingimenti “indiretti” ovvero ai casi in cui l’MRCC di Roma ordini a un’unità navale non appartenente allo Stato italiano di consegnare le persone soccorse alla Guardia Costiera libica affinché vengano riportate in Libia, o addirittura si rifiuti di assumere il coordinamento di un’operazione SAR ritenendo che debba essere assunto dalle autorità libiche.
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In considerazione di quanto esposto sopra, chiediamo che:
1. in nessun caso venga effettuato (direttamente o indirettamente, attraverso la collaborazione con la Guardia costiera libica) o anche solo minacciato un respingimento verso la Libia delle persone soccorse;
2. nell’ambito delle future operazioni SAR coordinate dall’Italia, il Comando generale del Corpo delle Capitanerie di Porto indichi tempestivamente il porto sicuro di sbarco alle navi che trasportano le persone soccorse, e non ne venga illegittimamente ritardato lo sbarco;
3. cessino immediatamente le azioni che ostacolano l’operato delle Ong e di tutti i soggetti impegnati nelle operazioni di salvataggio in mare;
4. siano resi pubblici i provvedimenti adottati dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, dal Ministero dell’Interno e da ogni altra autorità coinvolta in merito al divieto di attracco e di sbarco nei casi sopra citati, affinché la società civile possa conoscere le motivazioni di tali decisioni e comprendere se esse siano state o meno adottate nel rispetto della normativa vigente;
5. il Governo italiano sostenga l’approvazione del testo del Regolamento Dublino IV approvato dal Parlamento europeo e promuova l’adozione di procedure per la distribuzione tra gli Stati europei delle persone soccorse in mare nel pieno rispetto della Costituzione e delle norme internazionali, europee e nazionali vigenti.
A Buon Diritto Onlus
ACLI
ActionAid
Amnesty International Italia
ARCI
ASGI
Casa dei Diritti Sociali
CNCA
Emergency
FCEI
INTERSOS
Médecins du Monde Missione Italia
Medici Senza Frontiere
Oxfam
- http://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2018/06/29/migranti-toninelli-divieto-di-attracco-per-la-nave-ong- astral-_d1b9ba19-7f42-44bc-8ba8-0f6a73f7b069.html
- https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/06/29/migranti-nave-open-arms-divieto-di-attracco-nei-porti-italiani- toninelli-disposto-per-motivi-di-ordine-pubblico/4461286/
- https://www.corriere.it/politica/18_giugno_30/porti-sempre-chiusi-le-ong-2e734e06-7bdb-11e8-ab49- 1b15619f3f8e.shtml
- http://www.associazionemagistrati.it/doc/2996/migranti-anm-no-interferenze-su-lavoro-pm-trapani.htm
- https://www.corriere.it/cronache/18_luglio_14/migranti-260-trasbordati-barcone-nave-guardia-finanza- 36681ecc-872d-11e8-bfdc-8bbc13b64da8.shtml
- http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2018-07-14/linosa-svuotato-barcone-450-migranti-bordo-navi-gdf-e- frontex–093501.shtml?uuid=AETS7uLF
- Si vedano ad esempio: OHCHR, United Nations Support Mission in Libya, “Detained and dehumanised”, Report on human rights abuses against migrants in Libya, 13 decembre 2016; Procuratore della Corte penale internazionale, Thirteenth Report to the United Nations Security Council pursuant to UNSCR 1970 (2011), 8 maggio 2017; Lettera del 28 settembre 2017 del Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa al Ministro dell’Interno italiano.
- Si veda in proposito anche la sentenza della Corte d’Assise di Milano del 10 ottobre 2017, in cui emergono chiaramente le torture e i trattamenti inumani inflitti nei campi di detenzione in Libia.
- Lettera del 1 giugno 2017 del Panel of Experts on Libya established pursuant to resolution 1973 (2011) al President of the Security Council, parr. 104-5.
- Il Tribunale di Ragusa con decisione del 16 aprile 2018 ha rigettato la richiesta di sequestro preventivo della nave Open Arms, ritenendo sussistente la scriminante dello stato di necessità in quanto la Libia non può esser considerato un “luogo sicuro di sbarco” in considerazione delle gravi e documentate violazioni dei diritti umani nei confronti dei migranti che avvengono in tale Paese.