Il taglio dei fondi USA è una condanna per milioni di persone vulnerabili
Il 24 gennaio, il governo degli Stati Uniti ha deciso improvvisamente di sospendere le erogazioni di aiuti esteri per 90 giorni e di smantellare l’USAID, l’Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale. A ciò è seguita una serie di deroghe molto generali riguardanti i tipi di progetti che potevano andare avanti, ma in realtà, la maggior parte delle attività umanitarie finanziate dagli Stati Uniti ha dovuto interrompersi. E ancora oggi è tutto fermo.
Già nei primi giorni di insediamento, la nuova amministrazione statunitense ha deciso improvvisamente di bloccare una ampia parte degli impegni finanziari per gli aiuti esteri. A partire dal 24 febbraio, gli Stati Uniti – il principale donatore bilaterale di aiuti umanitari al mondo – hanno congelato i fondi, annullato i contratti, bloccato i pagamenti e smantellato l’USAID, l’Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale, destabilizzando l’intero sistema umanitario.
Le conseguenze di queste decisioni sono drammatiche, sia per le popolazioni colpite dalle crisi che per le organizzazioni che le sostengono. Gli ordini esecutivi hanno imposto la chiusura di ospedali e centri sanitari, e hanno bloccato i programmi nutrizionali, l’assistenza in denaro e la distribuzione di cibo, così come l’assistenza legale per gli sfollati e programmi essenziali di accoglienza, istruzione, acqua e servizi igienici. Tutto ciò avviene in un quadro umanitario globale estremamente critico: secondo il Global Humanitarian Overview (GHO), nel 2025 sono 305 milioni le persone nel mondo che hanno bisogno di assistenza umanitaria urgente e protezione.
L’impatto sul sistema umanitario
Gli Stati Uniti sono il principale donatore globale di aiuti umanitari, con un contributo di 13,80 miliardi di dollari nel 2024, pari al 43,04% dei finanziamenti totali monitorati dal Servizio di Monitoraggio Finanziario (FTS) delle Nazioni Unite. Questa cifra supera i contributi sommati dei successivi 10 maggiori donatori al mondo.
Molte organizzazioni umanitarie, tra cui le agenzie delle Nazioni Unite, le ONG internazionali e le ONG locali, dipendono fortemente dai finanziamenti statunitensi per fornire cibo, materiale sanitario, rifugio e altri servizi di emergenza e programmi salvavita alle persone persone che vivono in regioni colpite da conflitti e disastri naturali.
Le ONG locali, nazionali e internazionali, la spina dorsale della risposta umanitaria, stanno ora affrontando gravi interruzioni operative e sono costrette a chiudere progetti, licenziare personale e ritirarsi da comunità dove la fiducia e le infrastrutture hanno richiesto anni per essere costruite.
Le organizzazioni stanno affrontando problemi di flusso di cassa e liquidità, nonché un elevato livello di rischio per quanto riguarda i dipendenti con contratti finanziati dagli Stati Uniti, con conseguenti significative perdite finanziarie dovute ai costi delle risorse umane e alle penali per le risoluzioni contrattuali che non rispettano le leggi locali sul lavoro. Inoltre, i costi e le penali dovuti alle forniture pre-ordinate creeranno anche un ulteriore onere finanziario.
L’impatto su INTERSOS
I tagli al budget della USAID ci hanno costretto a interrompere i progetti che fornivano aiuti umanitari essenziali in Africa occidentale (Burkina Faso, Ciad, Nigeria), Afghanistan, Yemen e Libano. Ciò sta lasciando circa 500.000 persone senza assistenza medica salvavita e protezione umanitaria.
A causa della mancanza di liquidità (dovuta al mancato rimborso delle spese anticipate per l’attuazione dei progetti da parte dell’USAID), abbiamo dovuto mettere in congedo tutti i lavoratori (medici, ostetriche, psicologi, operatori sociali e legali, ecc.) sui progetti finanziati dall’USAID e chiudere i centri medici, interrompere i programmi di malnutrizione infantile, fermare l’assistenza alle donne con gravidanze ad alto rischio che vivono in aree remote senza altri servizi disponibili, e molto altro. Le persone continuano a chiamarci quotidianamente per le emergenze, a visitare i nostri centri e a chiedere assistenza, ma non siamo in grado di aiutarle. Nel 2024, l’USAID rappresentava il 17% del budget totale di INTERSOS e l’impatto dei tagli dalla fine di gennaio è impossibile da assorbire nel breve termine senza compromettere i nostri servizi anche nei prossimi mesi.

“Da un giorno all’altro, a causa dei tagli di USAID, abbiamo dovuto interrompere il lavoro che medici, infermieri, assistenti sociali e legali, psicologi, svolgevano da anni nelle comunità rurali, dove non esistono altri servizi. Stavamo assistendo centinaia di donne incinte con gravidanze ad alto rischio, residenti di campi sfollati interni o aree remote, bambine e bambini sotto i 5 anni affetti da malnutrizione acuta con cliniche mobili e con il supporto dei centri sanitari.
Stiamo chiudendo due centri comunitari, gli unici spazi dove le donne potevano trovare un ascolto e le bambine e i bambini un luogo dove sentirsi al sicuro e giocare.
Il nostro team riceve decine di chiamate al giorno.
La scorsa settimana, una delle donne che assistevamo, e che vive in un una zona molto lontana e isolata, ha partorito. Hanno chiamato la nostra ambulanza per portarla in ospedale, ma noi non ce l’avevamo più l’ambulanza. Non abbiamo a disposizione mezzi di soccorso in questo momento perché non possiamo pagarli. Il neonato è morto.
Di solito, quando siamo costretti a terminare i progetti per mancanza di fondi o altri motivi, ci assicuriamo che le persone che curavamo e assistevamo vengano indirizzate ad altre organizzazioni, associazioni, fornitori di servizi nella zona. Ma qui non ci sono altri servizi. Chiudere significa abbandonare. Chiudere significa condannare a morte i casi ad alto rischio.
Abbiamo bisogno di fondi immediati, che non possono aspettare settimane. Dobbiamo assistere le donne all’ottavo, nono mese di gravidanza che potrebbero partorire da un momento all’altro, dobbiamo ricominciare a curare i casi di malnutrizione per non vanificare i progressi fatti finora”.
Alessandra Caputo, Responsabile dei Programmi in Yemen
Le azioni giudiziarie
A seguito di azioni legali intentate da diverse organizzazioni statunitensi che contestavano il blocco degli aiuti, il giudice federale Amir H. Ali di Washington ha emesso un’ordinanza temporanea il 13 febbraio, vietando all’amministrazione Trump di interrompere o sospendere i pagamenti. Tuttavia, l’amministrazione statunitense non ha rispettato questa sentenza e ha invece proceduto alla cancellazione di migliaia di contratti (oltre l’80% del portafoglio USAID).
Poco dopo, molte organizzazioni hanno ricevuto lettere che le informavano che le cancellazioni dei loro contratti erano state revocate e i loro progetti ripristinati. Tuttavia, in molti casi, ciò è stato seguito da ulteriori comunicazioni che affermavano che la revoca dei contratti cancellati era stata inviata per errore. Ciò che non è chiaro ad oggi è come i pagamenti per il lavoro svolto nell’ambito di vari programmi possano essere rimborsati, dato che l’USAID è stata smantellata e il sistema di pagamento non sembra essere operativo.
Il 5 marzo, la Corte Suprema ha respinto il ricorso presentato dall’amministrazione Trump contro la sentenza del tribunale federale che imponeva al governo di sbloccare immediatamente 2 miliardi di dollari di pagamenti di aiuti esteri.
Il 10 marzo, il giudice federale Amir H. Ali ha quindi, con un’altra sentenza, ordinato all’amministrazione Trump di pagare i partner dell’USAID per il lavoro completato prima del 13 febbraio, ma non si è pronunciato sul ripristino dei contratti cancellati. Tuttavia, il giudice ha fornito una motivazione molto chiara per la sua decisione riguardante i pagamenti, sostenendo che la decisione di finanziare o meno gli aiuti esteri non spetta al Presidente, ma al Congresso degli Stati Uniti.
Il 18 marzo, il giudice distrettuale Theodore Chuang nel Maryland ha bloccato a tempo indeterminato ulteriori tagli all’USAID da parte del Dipartimento dell’Efficienza del Governo. Ha anche ordinato all’amministrazione Trump di ripristinare l’accesso a e-mail e computer per tutti i dipendenti, compresi quelli che erano stati posti in congedo amministrativo. Secondo il giudice, lo smantellamento dell’Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale ha probabilmente violato la Costituzione. Inoltre il giudice ha anche ordinato che le funzioni dell’agenzia siano parzialmente ripristinate, anche se tale provvedimento potrebbe essere temporaneo.
In sostanza, persiste confusione e mancanza di chiarezza sulla situazione dei progetti in corso finanziati dagli Stati Uniti e, soprattutto, permane una notevole incertezza sul futuro finanziamento degli aiuti umanitari e allo sviluppo.
Ciò che è certo oggi è che gli operatori di INTERSOS che lavorano sui progetti USAID sono fermi, le strutture sanitarie sono chiuse e centinaia di migliaia di persone sono senza aiuti e a rischio di morte.