A pochi chilometri da Foggia, l’insediamento informale di Borgo Mezzanone ospita migliaia di migranti. In un contesto segnato da difficoltà nell’accesso ai servizi essenziali, i mediatori culturali sono figure fondamentali per colmare il divario tra la comunità migrante e le istituzioni. Souleye Wague, mediatore con INTERSOS, ci racconta la sua esperienza e il suo impegno quotidiano nel supportare chi vive in questa realtà.

 

Puoi raccontarci qualcosa di te? Come sei arrivato a svolgere il ruolo di mediatore culturale con INTERSOS?

Lavoro a Foggia da nove anni. Dal mio Paese, il Senegal, sono arrivato direttamente qua. La mediazione non è stata una scelta, è come se ci fossi nato dentro. Conosco tante lingue e dialetti africani e quando sono arrivato in Italia ho iniziato a aiutare altre persone nei centri di accoglienza, traducendo e spiegando quello che non capivano. Quando è arrivata la pandemia, nel 2020, tutto era bloccato e mi hanno contattato tramite un’associazione. Già conoscevo la realtà di Borgo Mezzanone, avevo amici lì dentro, ci andavo spesso. INTERSOS ha visto che ero già parte di quel mondo e mi ha spiegato il lavoro del mediatore. Mi è piaciuto subito. Supportare le persone, vivere a contatto con loro, essere un riferimento: tutto questo mi dà grandi soddisfazioni.

Come si svolge una tua giornata tipo?

Le mie giornate non iniziano sempre nell’insediamento e nessun giorno è perfettamente uguale a un altro. Mi capita di essere contattato anche al di fuori dell’orario lavorativo per supportare le persone che mi conoscono in casi di emergenza. Quando invece metto piede a Borgo Mezzanone, la gente mi vede e subito mi cerca. Non sono solo un mediatore, sono qualcuno di cui si fidano. Ho visto tanti mediatori lavorare con INTERSOS, ognuno ha il suo metodo. Io cerco di essere sempre aperto, di non fare promesse che non posso mantenere, ma di capire esattamente cosa posso fare per loro. Per questo sono contenti quando mi vedono: sanno che se posso aiutarli, lo farò.

Chi sono le persone che vivono a Borgo Mezzanone? Quali sono le loro principali difficoltà ed esigenze?

Le persone che vivono nell’insediamento vengono da tante parti dell’Africa, ma anche da altri Paesi. Hanno bisogno di tantissime cose: cibo, documenti, visite mediche. Quando parliamo di salute, parliamo anche di documenti, perché senza permesso di soggiorno è tutto più difficile. Io incontro persone che non dormono la notte perché non hanno i documenti, sono qui da dieci o dodici anni e non hanno nulla. Alcuni non mangiano per giorni, sono disperati. Io non posso dare soldi, non posso fare la spesa per loro, non fa parte del mio lavoro e sarebbe impossibile: se lo fai per uno, devi farlo per tutti. Però posso ascoltarli, farli visitare dal team medico, orientarli. Ma la parte legale è difficile, e non possiamo dare risposte immediate. Questo è il punto più delicato della mediazione: io non faccio solo traduzione, sono anche una persona umana e sento il loro dolore. A volte mi sento impotente, piccolo come un granello di sabbia, perché non posso cambiare le cose e non so nemmeno con chi arrabbiarmi.

Quali sono le barriere più difficili da superare nel tuo lavoro?

Le difficoltà sono tante. Linguistiche, burocratiche, sociali. Spesso ci troviamo a dover spiegare cose che per noi sono scontate, ma che per loro sono completamente nuove. Io so che non possiamo risolvere tutto e che non possiamo supportare tutti, anche se vorremmo. Per questo dobbiamo essere molto attenti a quello che facciamo, a come ci muoviamo. Le persone hanno bisogno anche in altri insediamenti, dove spesso non va nessuno. Adesso stiamo cercando di andarci almeno una volta ogni due settimane, e attualmente raggiungiamo quattro insediamenti.

Quanto è importante la comprensione culturale nel tuo lavoro?

La mediazione non è solo traduzione. Io vedo una persona e immediatamente capisco quali difficoltà sta affrontando. Vengo dallo stesso contesto, conosco il loro modo di pensare, so perché hanno certe paure e perché certe cose per loro sono più difficili. Se un medico dice una frase, io posso metterci due minuti a spiegarla, perché devo far capire anche le differenze culturali. Ad esempio, alcune persone non vogliono mostrare parti del corpo per una visita medica perché si vergognano. Io devo spiegare loro il concetto di privacy e perché è necessario superare questo ostacolo per curarsi. Ricordo un paziente che aveva parlato con diversi operatori ma non riusciva a spiegare il suo problema. Quando ha parlato con me, ha superato l’imbarazzo perché gli ho spiegato l’importanza della visita. Anche il modo in cui una persona riceve un’informazione è importante.

Qual è il valore aggiunto di INTERSOS a Borgo Mezzanone?

L’informazione è la parte più importante del nostro lavoro. In Africa, se una persona sta male, va direttamente in ospedale e trova tutto lì: medico, farmacia, dentista. Qui non funziona così, e molte persone non sanno come muoversi nel sistema sanitario italiano. Non sanno che hanno diritto a un medico di base, con o senza permesso di soggiorno. Noi di INTERSOS spieghiamo tutto questo. Se non capiscono come funziona, si arrabbiano e si sentono abbandonati. Ad esempio, vanno in pronto soccorso per ogni cosa e poi aspettano ore prima di essere visitati. Dopo la pandemia abbiamo sospeso alcune attività per due settimane per fare solo orientamento sanitario e spiegare l’importanza dei vaccini. Io parlavo in sette-otto lingue, cercavo di rassicurare le persone, e piano piano hanno capito. Questo è un aspetto su cui altre realtà raramente si soffermano. 

Cosa ti motiva ad andare avanti?

Io tengo molto al mio lavoro. Sono qui da tanto tempo, mi conoscono, sanno che possono fidarsi di me. Mi sento felice quando vedo una persona che abbiamo aiutato guarire, quando qualcuno torna e mi ringrazia. Allora capisco che il mio lavoro è utile. Ma so anche che non basta: ci sono ancora tante persone che hanno bisogno di supporto, soprattutto negli insediamenti più isolati. E per questo continuiamo a lavorare, perché il diritto alla salute e all’informazione appartiene a tutti.