All’indomani del naufragio, abbiamo cominciato a dare assistenza psicologica ai parenti delle vittime arrivati a Crotone per il riconoscimento dei corpi e ai sopravvissuti. “Su questo naufragio c’è un’ inchiesta, ma davanti ai tanti altri avvenuti al largo si è voluto chiudere gli occhi”.

 

Nel naufragio avvenuto durante la notte del 26 febbraio, a pochi metri dalle coste calabresi di Cutro, sono morte almeno 68 persone, 14 sono minori. Si continuano a cercare i dispersi mentre i sopravvissuti e i familiari delle vittime nei giorni scorsi hanno dovuto effettuare il riconoscimento delle salme attraverso le foto scattate subito dopo il ritrovamento dei corpi.

INTERSOS sta offrendo assistenza psicologica alle persone coinvolte, sopravvissuti e familiari delle vittime. La tragedia di quella notte sta tutta nei racconti dei pochi superstiti e dei parenti delle vittime che li attendevano in Europa.

Ci sono i due giovani ventenni afgani, in viaggio da un anno con tutta la loro famiglia di venti persone, sono gli unici ad essersi salvati. Tra le vittime anche un neonato. C’è un adolescente di sedici anni, partito dall’Afghanistan con la sorella maggiore. Racconta di aver visto un’onda violenta abbattersi su di lei, poi il nulla. Dalla Germania sono arrivati a Crotone due fratelli, sempre afghani, per il riconoscimento dei corpi della sorella, del cognato e delle due nipotine di 2 e 5 anni. Raccontano di averli sentiti per l’ultima volta intorno le 3 del mattino: “Siamo arrivati!” diceva il loro messaggio, lo hanno scritto perché vedevano terra, erano a soli 100 metri dalla costa. 

La nostra psicologa Valentina Castelli ha accompagnato queste persone durante il riconoscimento delle bare, spesso possibile solo attraverso dei codici indicativi. Al dolore, si aggiunge anche il non sapere come e quando i sopravvissuti potranno ricongiungersi con i parenti in Europa, o quando potranno rimpatriare le salme per dare loro un dignitoso ultimo saluto. 

La procura di Crotone ha aperto un’indagine per verificare eventuali reati e responsabilità sul mancato soccorso dei naufraghi.

Le attività di “search and rescue” in mare, che noi qualche anno fa abbiamo fatto a bordo delle navi della Guardia Costiera, sono previste da leggi e convenzioni internazionali sul mare. Averle limitate per la Guardia Costiera e volerle limitare per le imbarcazioni private vuol dire solo avere più morti nel Mediterraneo –  afferma Cesare Fermi,  direttore Europa di INTERSOS –  “Non è vero che bloccando le navi, diminuiranno le partenze: le persone disperate continueranno sempre a partire, i flussi migratori sono epocali e inarrestabili. Il Mediterraneo è ormai un grande cimitero, ogni settimana ci sono tanti naufragi di cui non parliamo. Tutte queste morti non le sente nessuno sulla propria coscienza?