Intervista a Enzo Rubinetti, Emergency Coordinator in Venezuela, dove abbiamo attivato un progetto regionale transfrontaliero per rispondere alla crisi venezuelana.

 

Enzo è il responsabile della missione in Venezuela. Fino a due settimane fa era basato in Colombia. Ora, invece, è a San Cristòbal, città venezuelana a meno di cinquanta chilometri dal confine colombiano. Insieme al CISP (Comitato Internazionale per lo Sviluppo dei Popoli), INTERSOS è in prima linea con un progetto regionale transfrontaliero nella crisi venezuelana, quella che Enzo definisce ‘una vera catastrofe’.

“Ho passato gli ultimi anni in Afghanistan – racconta – Paese in guerra da decenni, che dal ’79 non ha sostanzialmente mai trovato una stabilità. Lì manca tutto, le infrastrutture, i servizi. Il Venezuela è un’altra cosa”. Un Paese che fino a poco tempo fa era urbanisticamente organizzato e funzionante, che aveva strade, servizi, ospedali, negozi, uffici. Ora, gli uffici sono chiusi. I negozi sono chiusi. Non c’è cibo. Un Paese che soffre le conseguenze di una crisi economica segnata dall’iperinflazione, dalla carenza di beni di base e forniture mediche – specialmente per le classi lavoratrici – e dall’insicurezza diffusa. E migliaia di persone che se ne vanno ogni giorno verso altri paesi in cerca di fortuna.

 

A oggi sono 4,5 milioni i venezuelani che hanno lasciato il proprio Paese e si stima arriveranno a 5,5 milioni a fine 2020. Il confine tra Venezuela e Colombia è uno dei luoghi più caldi del momento, segnalato come uno degli scenari più preoccupanti per il 2020.

 

INTERSOS, con il CISP, lavora proprio lì, nelle aree di confine. In Colombia, nei dipartimenti di Norte de Santander e Arauca, e in Venezuela, nello Stato di Tachira e nella città di San Cristòbal. Da maggio 2019 abbiamo avviato una nuova missione incentrata su interventi di protezione delle persone più vulnerabili e accesso alle cure mediche. “Assistiamo gli ultimi – sottolinea Enzo – aiutiamo i caminantes, quelli che chiameremmo migranti in transito, che partono a piedi spinti dalla fame, dalla povertà e dall’assenza di futuro nel loro Paese d’origine”. A loro si aggiungono i venezuelani che si sono stabiliti in Colombia ma vivono in condizioni di povertà, i colombiani che erano scappati in Venezuela anni fa dalla guerra civile e ora si ritrovano a tornare in una terra dove gli accordi di pace non reggono e la guerrilla è spesso l’unica forma di polizia (secondo un recente dossier di Human Rights Watch).

Il contesto è drammatico: se in Venezuela l’accesso al cibo è molto difficile e sempre più persone saltano i pasti o si adattano a un’alimentazione poverissima (alcune organizzazioni internazionali fanno distribuzione di cibo per le persone più indigenti), in Colombia, ma non solo, a peggiorare tutto c’è una crescente e preoccupante xenofobia nei confronti dei rifugiati venezuelani, percepiti come parte di un’invasione (i venezuelani in Colombia sono 1,6 milioni a fronte di una popolazione di 50 milioni), e che da gennaio ha riacceso i flussi dei migranti verso paesi terzi, come il Perù o l’Ecuador. In un clima di crescente nazionalismo, contro i profughi venezuelani vengono spesso avanzate accuse infondate di essere alla base di un aumento dei fenomeni criminali. “C’è intolleranza, tanta. E questo preoccupa”, conclude Enzo.

Sebbene la situazione non accenni a migliorare, nelle zone d’intervento i risultati sono incoraggianti. Insieme agli operatori e alle operatrici del CISP, stiamo contribuendo a migliorare il sistema e gli standard di assistenza legale, offrendo aiuto e orientamento alle persone più vulnerabili, e garantendo supporto psico sociale alle vittime di violenza. Incoraggiante è anche la straordinaria risposta e la collaborazione volontaria delle associazioni e delle reti locali, una sinergia che sostiene il lavoro quotidiano. Dall’estate del 2019, soltanto in Colombia, siamo riusciti a garantire assistenza legale a 310 persone (di cui 200 donne), e a distribuire voucher per l’acquisto di cibo e beni di prima necessità a circa 600 persone.