Martedì 2 luglio, in audizione presso il Comitato dei Diritti Umani della Camera dei Deputati, abbiamo presentato la grave situazione umanitaria in cui versa l’Afghanistan insieme ad altre tre organizzazione della società civile: Emergency, Afgana e United Against Inhumanity (UAI)

Mentre sull’Afghanistan il dibattito internazionale riprende chiedendo giustamente la fine della discriminazione di genere e il pieno rispetto dei diritti delle donne, la popolazione del Paese asiatico continua a subire i contraccolpi della guerra e la situazione umanitaria resta grave dal punto di vista alimentare, sanitario, educativo. Sono i temi che sono stati sollevati oggi, 2 luglio, durante un’audizione al Comitato permanente sui Diritti umani della Camera dei Deputati, presieduta dall’onorevole Laura Boldrini, cui hanno partecipato quattro esponenti di organizzazioni della società civile: Rossella Miccio di EMERGENCY, Giovanni Visone di INTERSOS, Giuliano Battiston di Afgana e Antonio Donini di United Against Inhumanity (UAI).

In un Paese dove fino all’agosto del 2021 l’assistenza allo sviluppo dei Paesi occidentali copriva circa il 73% del bilancio, l’assenza pressoché totale degli aiuti e le sanzioni continuano ad aggravare la già difficile sopravvivenza della popolazione.

EMERGENCY: l’86% degli afgani si è visto costretto a prendere denaro in prestito per curarsi e il 70% a posticipare le cure. Particolarmente rilevante è il dato della violenza indiscriminata da esplosivi: da gennaio ad aprile 2024 EMERGENCY ha ricoverato oltre 200 pazienti per ferite da scheggia o da mina. 94, quindi 1 su 2, erano minori di 18 anni. In 24 anni l’organizzazione ha investito circa 180 milioni di euro per garantire il diritto alle cure senza discriminazioni attraverso la promozione di una cultura di pace e di diritti non solo per i pazienti, ma anche per i 1.700 membri dello staff locale tra cui 370 colleghe afgane, che possono operare nel campo della salute: modello di inclusione ed emancipazione per le comunità locali e di possibile influenza verso le autorità per garantire sanità e canali di dialogo su educazione e formazione per donne e bambine. Per questo motivo è necessario investire nella salute perché gli ospedali possano continuare a garantire il diritto alla cura ed essere luoghi di pace e costruzione di comunità che, per troppi decenni, non hanno avuto possibilità né prospettive future, prima perché afflitte dalla guerra, ora dalla povertà e dall’oblio internazionale.

INTERSOS: in un Paese dove 23,7 milioni di persone hanno bisogno di aiuti umanitari per sopravvivere, l’80% delle famiglie vive con meno di un dollaro al giorno e i tassi di malnutrizione materno – infantile sono fra i più alti al mondo, agire è imperativo con un rilancio dell’azione umanitaria non condizionata da obiettivi di altra natura e fondata su 4 pilastri:
• Pieno finanziamento del Piano di Aiuti Umanitari (Humanitarian Response Plan) per il 2024 con fondi prevedibili, flessibili e pluriennali per sostenere una risposta efficace
• Rilancio dei finanziamenti destinati allo sviluppo e all’early recovery per sostenere la ripresa dei servizi di base e in particolare dei servizi sanitari.
• Accesso equo ai servizi e agli aiuti per tutta la popolazione afgana, con particolare attenzione alle categorie marginalizzate (sfollati interni, returnees, donne e bambini e persone con disabilità). Obiettivo che può essere raggiunto solo attraverso il confronto attivo tra organizzazione umanitarie, stakeholder internazionali e autorità.
• Riaffermazione della centralità del ruolo attivo delle donne che, ancora oggi, rappresentano circa il 50% dello staff INTERSOS nel Paese e del loro imprescindibile contributo all’azione umanitaria e alla crescita della società afgana.

Sono trascorsi quasi tre anni dal quando i talebani hanno assunto il ruolo di autorità de facto nel Paese. Tre anni nei quali INTERSOS ha confermato e rafforzato ininterrottamente la sua presenza umanitaria al fianco della popolazione afgana, testimoniando direttamente l’impatto che la crisi e l’isolamento del Paese hanno sulla popolazione, e in particolare sulle fasce più vulnerabili. In particolare, INTERSOS ha lavorato per sostenere il sistema sanitario locale ed estendere l’intervento umanitario in aree remote rurali e montane delle province di Kabul, Kandahar e Zabul, con particolare attenzione alle categorie più vulnerabili, offrendo servizi di protezione, consulenze mediche, programmi di immunizzazione, servizi per la salute materno-infantile, di emergenza e traumatologici nonché programmi nutrizionali per bambini, donne in gravidanza e in allattamento.

Di fronte a noi abbiamo dati estremamente critici. 23,7 milioni di persone, più della metà della popolazione, hanno bisogno di aiuti umanitari per sopravvivere. Oltre l’80% delle famiglie vive con meno di un dollaro al giorno. I tassi di malnutrizione materno – infantile sono fra i più alti al mondo così come l’incidenza di morti di parto, conseguenza di un sistema sanitario fragile, sostenuto, soprattutto nelle aree remote rurali e montane, solo dalla presenza di ONG internazionali. Sono dati di fronte ai quali agire è imperativo. E agire a partire da una riaffermazione della non condizionalità degli aiuti umanitari e dal rifiuto di ogni logica che subordini l’azione umanitaria basata sui principi a obiettivi di altro ordine.

Chiediamo che questo rilancio dell’azione umanitaria si fondi su quattro pilastri:

  • Garantire il pieno finanziamento del Piano di Aiuti Umanitari per il 2024, disponendo fondi prevedibili, flessibili e pluriennali per sostenere una risposta efficace e prevenire un ulteriore deterioramento della situazione umanitaria interna al paese
  • Promuovere la ripresa di finanziamenti destinati allo sviluppo, che prima dell’agosto del 2021 rappresentavano l’80% degli aiuti all’Afghanistan, e i finanziamenti per l’early recovery, senza i quali è impossibile affrontare alla radice le cause profonde della crisi umanitaria e sostenere la ripresa dei servizi di base e in particolare dei servizi sanitari. Lo osserviamo nei progetti di INTERSOS per garantire accesso alle cure mediche così come nelle attività di protezione: l’azione umanitaria emergenziale è vitale ma allo stesso tempo non può essere considerata come una risposta sufficiente e sostenibile nel lungo periodo ai bisogni della popolazione, trasformando la pura resilienza in progressiva autonomia e riducendo la dipendenza degli aiuti.
  • Sostenere un accesso equo ai servizi e agli aiuti per tutta la popolazione afgana, con particolare attenzione alle categorie marginalizzate, inclusi sfollati interni, returnees, donne e bambini e persone con disabilità, garantendo che i loro bisogni specifici trovino ascolto e i loro diritti siano rispettati. Un obiettivo che può essere raggiunto solo attraverso il confronto attivo tra organizzazioni umanitarie, stakeholder internazionali e autorità.
  • Riaffermare la centralità del ruolo attivo delle donne che, ancora oggi, rappresentano circa il 50% del nostro staff nel Paese e l’imprescindibilità del loro contributo all’azione umanitaria e, in genere, alla crescita della società afgana.

Rispetto a questi obiettivi, così come, ricordiamolo, anche nel garantire sostegno diplomatico e materiale ai milioni di afgani e afgane rifugiati nei paesi vicini, riteniamo che l’Italia – anche per il legame con la storia recente dell’Afghanistan – possa e debba rilanciare una politica trasparente di aiuti e tornare ad assumere un ruolo più forte nelle sedi internazionali e nell’Unione Europea.

Giovanni Visone, Direttore Comunicazione e Raccolta Fondi di INTERSOS

UAI: si è inoltre affrontato il tema della confisca delle riserve della Banca centrale afghana (DAB) da parte degli Stati Uniti e alleati, col congelamento di 9,5 mld di dollari, bloccati nella Federal Reserve Bank e in misura inferiore in banche europee (compresa l’Italia). La DAB in pratica è stata tagliata fuori dal sistema bancario internazionale e non è più in grado di svolgere le sue normali attività per garantire il funzionamento dell’economia. La popolazione afghana subisce le conseguenze di misure arbitrarie e inique. Uno scongelamento graduale con monitoraggio internazionale di questi fondi che appartengono al popolo afghano è urgente e necessario per il benessere della popolazione e non significa riconoscere il regime talebano.

Afgana: oltre a crisi umanitaria ed economica, repressione interna e discriminazione di genere, la società afghana sconta anche la mancanza di coraggio e creatività politica della diplomazia euro-atlantica. Come raccomandato dall’allora coordinatore speciale dell’Onu, Feridun Sinirlioğlu, serve “un impegno internazionale più integrato e coerente”, attraverso una tabella di marcia basata sui risultati.

 

Di fronte all’attuale impasse, per proteggere la popolazione c’è dunque bisogno di uno scarto: una diplomazia dei piccoli passi, dietro le quinte, che non sia declamatoria e basata su ultimatum, ma che ricerchi l’opzione che più tutela i diritti e i bisogni della popolazione afghana e delle donne. Parlarsi non significa riconoscere il regime né accettarne le politiche repressive e discriminatorie. Tra inazione e legittimazione esiste un ampio spettro di possibilità. Una posizione espressa da una parte della società civile afghana residente nel Paese comprese ONG di donne. Le conseguenze di disimpegno e isolamento verrebbero pagate dalle stesse categorie che vorrebbe difendere chi nega ogni ipotesi negoziale.