Il nostro operatore umanitario, Guglielmo Rapino, racconta il lavoro che facciamo nella provincia di Kandahar per assistere le migliaia di afgani che stanno rientrando dal Pakistan a seguito della decisione del Governo pakistano di far uscire dal Paese tutti i cittadini stranieri senza documenti

 

 

 

Sono quasi 500mila gli afgani che hanno lasciato il Pakistan per ritornare nel loro Paese da quando, a inizio novembre 2023, il Governo pakistano ha annunciato un piano di rientro immediato per i cittadini stranieri senza documenti. (Dati Nazioni Unite)

Dopo il picco iniziale di novembre, quando arrivavano in massa migliaia di persone, oggi il numero è gradualmente diminuito”, racconta Guglielmo Rapino, operatore umanitario di INTERSOS in Afghanistan. “Attualmente, nel campo formale di Takthapol, allestito dal Governo afgano a ridosso del confine, arrivano tra le 50 e le 100 famiglie al giorno. Nella provincia di Kandahar sono stati allestiti anche altri campi di accoglienza, coordinati dal Governo, dove INTERSOS, insieme ad altre organizzazioni umanitarie, sta portando assistenza”.

I due principali punti di arrivo sono i campi di Torkham e Spin Boldak. Le famiglie, di cui l’80% è composto principalmente da donne e bambini, trovano qui un ristoro per recuperare le energie dopo giorni di viaggio, trovano cibo, acqua potabile, ripari dal freddo. “Le persone restano nei campi solo pochi giorni, giusto il tempo di riprendersi dal lungo tragitto fatto. Poi tornano ad incamminarsi per raggiungere le loro città o villaggi di provenienza”, racconta Rapino. 

Milioni di afgani sono fuggiti negli ultimi quarant’anni nel vicino Pakistan, dall’inizio dell’occupazione sovietica del 1979. Una fuga che è proseguita nel tempo avvenire, dettata dalla necessità di salvarsi dai costanti conflitti interni ed esterni. Dall’estate 2021, da quando i Talebani hanno preso il potere, circa 600mila persone hanno lasciato l’Afghanistan per recarsi in Pakistan.

Tornare a casa adesso, per loro, significa tornare in un Paese stremato da una crisi ormai cronica, alimentare e occupazionale, un Paese in cui più di 23 milioni di persone necessita di assistenza umanitaria, dove sono 13 milioni coloro che soffrono la fame, dei quali più di 12 milioni sono bambini. 

C’è bisogno di cure mediche ma anche di assistenza psicologica. Tutte queste persone hanno subito un trauma. Costrette a lasciare anni di una vita costruita altrove per dover tornare proprio lì da dove erano fuggiti per trovare un futuro migliore. Noi di INTERSOS siamo operativi, con una clinica mobile, per  visitare e curare chi ne ha bisogno e fornire loro supporto psicosociale”, racconta Rapino che vive in Afghanistan da un anno e racconta quello che vede sul campo, nella provincia di Kandahar. 

Chi è stato costretto a tornare in Afghanistan si trova inoltre a dover fare i conti con l’impossibilità di trovare un’occupazione, far studiare i giovani, farsi curare o anche solo riuscire a garantire tre pasti al giorno. “Nessuno può garantire loro una vita migliore qui. Quello che mi ha colpito molto è, tuttavia, la grande solidarietà della comunità nel riaccoglierli e il fatto che, nonostante le tante difficoltà,  molte persone con cui ho parlato mi sono apparse felici di essere tornate nella loro terra di cui avevano sentito la nostalgia per tanto tempo. Qui in Afghanistan si sentono rispettati – dice Rapino– mentre spesso in Pakistan si sono sentiti  rigettati, hanno vissuto in un clima di razzismo che non li ha mai fatti sentire accolti”.

Tra gli afgani rientrati nel Paese, invece, c’è anche invece chi l’Afghanistan  lo ha visto adesso per la prima volta, dopo aver vissuto tutta la vita in Pakistan.

Non sappiamo ancora se ci saranno nuove ondate di arrivi nei prossimi mesi”, aggiunge Rapino. “Noi  continueremo a portare loro soccorso e lo faremo anche spostandoci con le nostre cliniche mobili nei tanti campi informali nati a ridosso del confine, dove spesso non arriva l’aiuto umanitario”.

C’è un’immagine che non scorderò mai – dice a conclusione del suo racconto– quella dei grandi camion carichi di persone. Sono camion coloratissimi, pieni di disegni, pitture, trattori carichi di cimeli e mobili, coperte e ogni altra cosa sono riusciti a portarsi via con loro dalle loro case. Sembrano carri di carnevale che arrivano in Afghanistan con la tragedia delle loro vite raggruppata in poche cose, tenute su un camion che contiene anche tutta la loro speranza”.