In molte regioni del Sud Italia per le persone migranti è spesso molto complicato riuscire a tutelare la propria salute. Il progetto REACH OUT e le ricerche sul campo hanno evidenziato quanto l’accesso alle cure e la prevenzione delle infezioni sessualmente trasmissibili siano influenzati da una complessa rete di fattori sociali, culturali, ed economici.

 

Difficoltà economiche e legali, barriere linguistiche e culturali: sono questi alcuni dei maggiori ostacoli che impediscono alle persone migranti che vivono nel Sud Italia di accedere alle cure mediche.

Il progetto REACH OUT, finanziato dall’Unione Europea e svolto in collaborazione con le Università di Maastricht e di Padova, ha portato alla luce dati significativi* sulla vulnerabilità sanitaria dei migranti nelle regioni meridionali d’Italia. 

Il progetto si focalizza sulla prevenzione e sull’accesso alle cure per HIV, epatiti B e C, e altre infezioni sessualmente trasmissibili (IST), analizzando le sfide concrete che ostacolano l’efficace implementazione di interventi sanitari in contesti difficili. Uno degli elementi centrali emersi è l’importanza dei Determinanti Sociali della Salute (SDH) – condizioni quali lo status legale, il reddito, il livello di istruzione e la discriminazione – che influenzano profondamente l’accesso alle cure e il rischio di infezioni. 

Le difficoltà economiche rappresentano una barriera rilevante: il 67% dei migranti intervistati vive sotto la soglia di povertà, con redditi inferiori a 630 euro al mese. Inoltre, quasi la metà (48%) non ha accesso ai servizi sanitari spesso perché ignara dei propri diritti o ostacolata da procedure amministrative complicate. Questo dato è particolarmente preoccupante nei centri di accoglienza e nei contesti informali come l’insediamento informale di Borgo di Mezzanone, in Puglia, dove la mancanza di registrazione sanitaria è la norma. 

Le barriere linguistiche e culturali complicano ulteriormente la situazione. La difficoltà di tradurre concetti legati alla salute sessuale in lingue diverse e la percezione negativa associata alle infezioni sessualmente trasmissibili rendono complicata la promozione delle pratiche di prevenzione. Sebbene infatti molti migranti siano consapevoli dell’esistenza di queste malattie e di alcuni metodi di prevenzione, il senso di vergogna e i credi religiosi spesso impediscono loro di adottare comportamenti protettivi. 

Destano preoccupazione anche i dati relativi alle condizioni psicologiche: il 61,9% dei migranti ha mostrato segni di stress mentale, mentre il 30% ha riferito di aver subito violenze da parte del partner. Problemi come ansia e depressione sono particolarmente diffusi, spesso legati all’incertezza sul proprio status legale e alla lunga permanenza in Italia senza stabilità né integrazione sociale. Pur non rappresentando necessariamente un ostacolo diretto, questi fattori psicologici tendono a isolare le persone, inibendole dall’avvicinarsi ai servizi sanitari e riducendo la loro propensione a cercare aiuto.

Le ricerche condotte sottolineano dunque quanto sia essenziale migliorare la comunicazione sui diritti sanitari dei migranti e rafforzare l’accesso ai servizi per garantire una tutela più inclusiva. Come INTERSOS, ci impegniamo ad utilizzare questi dati per adattare e potenziare i nostri interventi sul campo, collaborando con le comunità per costruire fiducia, fornire assistenza sanitaria mirata e sostenere un cambiamento strutturale che migliori le condizioni di vita dei migranti in Italia. 

 

 

*I dati condivisi sono il risultato di tre ricerche condotte da tesiste delle Università di Maastricht e di Padova: Marije Pot, Martina Bugelli e Antonia Laß.