Metà della popolazione, colpita prima dal Covid-19, poi dalla crisi economico finanziaria conseguente all’esplosione del porto di Beirut, oggi non ha cibo a sufficienza

 

 

 “Il 97% delle famiglie siriane che assistiamo fatica a procurarsi il cibo”. Riccardo Mioli, capo missione di INTERSOS, va dritto al punto quando c’è un Paese, il Libano, dove i più vulnerabili non possono permettersi di mettere in tavola il cibo necessario senza dover incorrere in debiti o diminuire il numero di pasti giornalieri. Il 97% sta a significare che quasi la totalità dei rifugiati siriani presenti sul territorio, che ad oggi sono circa 1,5 milioni, sta vivendo una crisi alimentare che solo gli aiuti umanitari hanno finora limitato. 

 

Il grano, il mais, i cereali in generale sono ora più che mai bene prezioso che rischia di diventare di lusso come conseguenza della guerra in Ucraina: a più di 100 giorni dall’inizio di questo conflitto, la minaccia di una crisi alimentare globale è da considerarsi concreta. Il granaio del mondo, come è sempre stata definita l’Ucraina, si trova ora a non poter esportare l’oro giallo dal quale dipendono decine di Paesi. Il Libano è uno di questi. L’80% dei prodotti alimentari viene importato e i principali fornitori sono proprio quei Paesi oggi protagonisti di una guerra di cui non si vede la fine nel breve termine, Ucraina e Russia. 

 

Su una popolazione di 6 milioni di abitanti, 3,2 vivono oggi sulla soglia della povertà. La metà delle persone, che in due anni sono state colpite prima dalla pandemia di Covid-19 e poi dalla crisi finanziaria ed economica come conseguenza, tra gli altri fattori, dell’esplosione dello strategico porto di Beirut del 4 agosto 2020, oggi non ha cibo a sufficienza. Da quei silos colmi di grano bloccati nei principali porti ucraini, come quelli di Odessa e Mykolaiv, dipende la sopravvivenza di milioni di vite.

 

Aumenta il prezzo del cibo e dei beni essenziali

 

Dunque se il Libano fino a pochi mesi fa già a stento riusciva a sopportare l’iperinflazione, il collasso del sistema bancario e una crisi socio-economica disumanizzante, oggi si ritrova ad essere bersaglio indiretto di un conflitto apparentemente lontano in termini geografici ma che sta rapidamente acutizzando la crisi già esistente. Nelle ultime settimane il Paese ha subito un rialzo del prezzo di cereali e verdura ad oggi mai visto: “Il costo relativo al paniere dei prodotti alimentari essenziali è già aumentato di oltre il 20% dall’inizio del conflitto (olio di semi, zucchero e pane su tutti)”, racconta Mioli. Inoltre, mentre salgono i prezzi dei prodotti, diminuiscono o restano invariati gli stipendi di gran parte della popolazione.  

 

Dall’inizio della pandemia, i prezzi dei beni di prima necessità sono aumentati di più di dieci volte. “E tutto questo ha naturalmente un impatto ancora più devastante sui rifugiati siriani a cui mancano i mezzi di sostentamento”, aggiunge il capo missione che, insieme agli altri operatori e operatrici di INTERSOS, ha potuto rilevare “un aumento vertiginoso anche dei libanesi che necessitano dei servizi di assistenza psicologica, legale e sociale che offriamo nelle diverse aree del Paese, con un  impatto forte soprattutto sui minori. Per via della crisi economica – sottolinea Mioli – sta aumentando lo sfruttamento del lavoro minorile. Sono circa 200 i casi di bambini sfruttati incontrati da INTERSOS nei soli primi quattro mesi del 2022.

 

Questa crisi alimentare si inserisce in uno scenario già drammatico. “La crisi dei cerotti”, come la definisce Riccardo Mioli, “è il risultato di anni e anni di politiche che hanno solo provato a mettere cerotti su ferite sempre più grandi e lacerate: la crisi dei rifugiati siriani, la crisi valutaria, l’esplosione del porto di Beirut, l’iperinflazione, la pandemia, la crisi dei servizi come la mancanza di elettricità e di acqua. Ed ora c’è la crisi del grano, del costo del cibo”.

 

INTERSOS, che in Libano lavora dal 2006, è testimone costante di un Paese che sta sprofondando. “Cerchiamo di supportare economicamente sia i rifugiati siriani che i libanesi che hanno difficoltà a pagare l’affitto di casa. I costi dell’affitto sono aumentati esponenzialmente (in alcuni casi di oltre il 200%) e questo si va a sommare all’incremento dei costi delle utenze (elettricità, acqua, gas) oramai insostenibili per le famiglie più vulnerabili e per tutti coloro che hanno stipendi fissi in valuta locale e non aggiornati alla continua inflazione”. Le case e i negozi nei quartieri popolari sparsi in tutto il Paese sono la fotografia perfetta di questa crisi. Mostrano il vuoto e l’incertezza che colpisce un intero popolo. “Mi chiedo per quanto tempo questi cerotti riusciranno ancora a tenere in piedi il Libano ferito. Eppure la resilienza del popolo libanese e dei rifugiati siriani è ancora viva, ed è l’unico motore trainante e ancora esistente”.

 

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