Centinaia di migliaia di sud sudanesi sono fuggiti dal Sudan da quando, ad aprile dello scorso anno, è cominciato il conflitto interno.  Negli ultimi dieci anni molti di loro si erano recati proprio nel vicino Sudan per cercare condizioni di vita migliori ma ora sono costretti a tornare nel loro paese per sopravvivere.

 

 

E’ già passato quasi un anno dall’inizio dalla crisi interna che, dal 15 aprile 2023, divampa nel Sudan, risultato di lotte intestine tra milizie armate ed esercito regolare. Sono centinaia di migliaia le persone che -a seguito dell’ intensificarsi delle violenze, brutalità contro i civili e della distruzione dei villaggi- sono fuggite per oltrepassare il confine e cercare rifugio nei Paesi confinanti come Ciad, Egitto e Sud Sudan.

La regione africana di riferimento è già da tempo particolarmente soggetta a ferite interne di tipo umanitario, come nel caso del Sud Sudan, Paese che, negli ultimi mesi, sta assistendo ad un grande flusso di ritorno di rifugiati sud sudanesi. Negli ultimi dieci anni, infatti, in molti di loro si erano recati proprio nel vicino Sudan per cercare condizioni di vita migliori.
Il Sud Sudan si è dichiarato indipendente da Khartoum, capitale del Sudan, nel 2011. Da allora la popolazione sopravvive ad un’economia fragile e ad un sistema di servizi quasi inesistente. A fronte di una popolazione di 10 milioni di abitanti, circa nove milioni necessitano di aiuto umanitario. Cinque milioni sono bambini e quasi sei milioni sono le persone in stato di sofferenza alimentare (livello IPC 3).

Tutto il confine nord tra i due Paesi è stato coinvolto dall’attraversamento dei civili in fuga, un arrivo in massa inaspettato per uno Stato come il Sud Sudan dove le risorse per rispondere ai crescenti bisogni umanitari restano limitate, aggravando la già fragile situazione interna. A dicembre scorso, secondo dati raccolti da OCHA, sono state registrate 434.343 persone che hanno attraversato il confine dal Sudan al Sud Sudan dall’inizio della crisi. Circa l’84% degli arrivi -si calcola una media di 2.049 arrivi al giorno- era costituito da sud sudanesi, il 15% da rifugiati sudanesi e il resto da persone di altre nazionalità. La maggior parte di loro sono donne e bambini.

INTERSOS, che opera nel territorio dal 2006, ha avviato progetti di accoglienza per intervenire sull’emergenza. L’intervento umanitario è finalizzato ad assistere sin dall’inizio le persone che hanno attraversato il confine, accoglierli e dare loro un primo supporto psico-fisico attraverso l’analisi e la risposta, insieme ad altre organizzazioni operative sull’intervento come UNHCR, dei bisogni primari come: la ricerca di un riparo, di cibo, di acqua, di cure mediche e protezione.

Sono tante le cose che mancano e che sono essenziali per vivere, lacune che causano un aumento della malnutrizione (soprattutto tra i minori), dell’insicurezza alimentare e dell’insorgenza di malattie facilmente trasmissibili in contesti affollati come i campi rifugio adibiti per accogliere i sud sudanesi di ritorno. Malakal Bulukat -dove gli operatori e le operatrici INTERSOS si trovano ad intervenire in prima linea- è una delle località maggiormente implicate nell’accoglienza, è un luogo di transito chiave per i rimpatriati che viaggiano da Renk -città al confine con il Sudan- verso le aree degli Stati sud sudanesi dell’Alto Nilo, Jonglei e Unity.

L’emergenza si è prolungata più del previsto e c’è urgente bisogno di aumentare la risposta umanitaria. I racconti di chi arriva sono agghiaccianti: la perdita del tutto, come la propria casa o lasciare indietro familiari e amici, le violenze viste e subite, partire senza nient’altro che i propri indumenti addosso e l’istinto di sopravvivenza che spinge a fuggire. Lo staff INTERSOS si trova davanti a questa grande sfida ed intende continuare il suo intervento per queste persone, premendo soprattutto sulla protezione e tutela dei tantissimi bambini e bambine, alcuni dei quali arrivano soli dopo aver affrontato il lungo viaggio in cammino, aiutati, a volte, da altri nuclei familiari, così come è necessario lavorare sulla prevenzione dello sfruttamento e dell’abuso sessuale nei campi di transito, luoghi spesso a rischio per la sicurezza di donne e minori.